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L’assetto urbano

L' assetto urbano

Contenuti a cura di Francesca Fantini D’Onofrio

L’ospedale di San Francesco fu attivo sino al 29 marzo del 1798 quando fu sostituito da un nuovo ospedale posto fuori della porta di Ponte Corvo nella vecchia sede del convento dei Gesuiti di Padova che a tal fine fu integralmente ristrutturata ed adeguata ad uso ospedaliero.

Il nuovo ospedale sempre intitolato a San Francesco fu voluto ed in parte finanziato dall’allora vescovo di Padova Nicolò Giustiniani.Alla morte del vescovo Nicolò Antonio Giustiniani il nuovo ospedale prenderà il nome di Ospedale Giustinianeo.

opera di Andrea Canova Musei Civici di Padova
opera di Andrea Canova Musei Civici di Padova
stele celebrativa, opera di Andrea Canova
Stele celebrativa del nuovo nosocomio e del suo finanziatore opera di Andrea Canova Musei Civici di Padova

Alla morte del vescovo Nicolò Antonio Giustiniani il nuovo ospedale prenderà il nome di Ospedale Giustinianeo.

Antichi vasi della farmacia dell'Ospedale
Vasi antichi appartenenti alla farmacia dell’Ospedale di San Francesco di Padova Musei Civici di Padova

Il complesso monumentale sanitario di San Francesco di Padova condizionò anche la toponomastica cittadina in quanto con il nome di San Francesco si identificò tutta la vasta zona compresa nel foglio di mappa n.XII del Catasto Napoleonico di Padova.

Foglio di mappa del Catasto Napoleonico n.XII
Foglio di mappa del Catasto Napoleonico n.XII

La stessa precedentemente era conosciuta come parrocchia di San Lorenzo, la cui chiesa sorgeva nell’attuale piazza Antenore, di cui si conserva solo il tracciato perimetrale identificato da una iscrizione moderna, e come contrada di Santa Margherita dal nome dell’oratorio attuale, anticamente chiesa completamente rifatta nel 1748 dall’architetto veneziano Tommaso Temanza.

L’oratorio di Santa Margherita di Antiochia oggi appare addossato al Palazzo cinquecentesco Marcello opera attribuita al proto pubblico Andrea Moroni, tecnico progettista anche della ristrutturazione dell’abbazia di Santa Giustina e del palazzo del Podestà di Padova.

Facciata di Santa Margherita
Facciata di Santa Margherita

 

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Le collezioni universitarie

Le collezioni universitarie

L’Istituto di Anatomia Patologica, ora Dipartimento di Scienze Medico-Diagnostiche e Terapie Speciali, dispone di collezioni specialistiche iniziate nel XIX Secolo se non prima. Nel caso specifico gran parte dei reperti organici più antichi risale alla direzione di Lodovico Brunetti (1813-1899), tra il 1869 e il 1887.

Al suo arrivo da Vienna, portatore delle novità della capitale politica e scientifica dell’Impero Austro-Ungarico, il Brunetti eliminò tutto il posseduto dell’esistente Gabinetto patologico, pur dicendosi certo che alcuni reperti fossero “reliquie” di Sua Maestà Anatomica Morgagni. Contemporaneamente si accinse a realizzare una serie di preparati a suo avviso più adatti ad un “moderno” Museo anatomo-patologico.

All’ordine imposto dal Brunetti si salvarono, quantomeno, un’importante collezione di calcoli umani ed animali (fig 001), una serie di cere dimostrative delle fasi della vaiolizzazione (fig 002) e un cospicuo nucleo di preparati ossei rappresentanti diverse patologie.

La maggior parte dei preparati di Lodovico Brunetti furono realizzati con una sua personalissima metodica: la tannizzazione (fig 003).

A Brunetti e ai suoi successori, in particolare Bonome e Cagnetto, si deve la gran parte dell’attuale raccolta: essa consta di circa 1400 esemplari, alcuni dei quali molto rari per tipo di patologia come ciclopi (fig 004), gemelli toracopaghi (fig 005), lebbra (fig 006), ectopia cordis (fig 007), argirosi (fig 008) o per il tipo di conservazione (tannizzazione, cerificazione, mummificazione). Agli esemplari più antichi sono stati aggiunti reperti moderni, grazie all’intervento dei direttori che hanno seguito Brunetti, in particolare si è sviluppato il campo della patologia cardiovascolare.

Di notevole importanza sono i paragoni che si possono fare tra i reperti conservati nel museo e immagini tratte da antichi testi medici del XVII secolo, soprattutto per quanto riguarda la sezione teratologica. (fig 009010011012) dove patologie rarissime ed eccezionali si ritrovano anche nel passato.

Su queste basi, la Provincia di Padova, proprietaria della sede dell’ex Ospedale San Francesco Grande, ha promosso il complesso restauro dell’edificio, con il contributo dello Stato, della Regione del Veneto, del Comune di Padova e della Società Autostrade Padova-Brescia, su progetto dell’Università degli Studi di Padova, per realizzare un Museo in grado di raccogliere ed esaltare la memoria storica del fulgente passato che ha illuminato con il proprio sapere medico tutta l’Europa. Nel 2008 la Provincia di Padova, l’Università degli Studi di Padova, la Regione del Veneto, il Comune di Padova, l’Azienda Ospedaliera e l’Azienda Unità Locale Socio Sanitaria n. 16 hanno costituito la “Fondazione Museo di Storia della Medicina e della Salute in Padova” per raccogliere, custodire e valorizzare le testimonianze di una cultura medica e scientifica padovana che ieri, come oggi, rappresenta un’eccellenza a livello internazionale. Con il prezioso apporto del Comitato scientifico e con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo per l’allestimento, il Museo oggi rappresenta un’imperdibile occasione di visitare un luogo che coniuga una storia antica con la moderna tecnologia.

Per accedere al sito web del Museo vai su http://www.musme.it

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Tannizzazione

Tannizzazione

Il metodo della tannizzazione fu proposto da Lodovico Brunetti nel 1867 e nello stesso anno ricevette un premio all’Esposizione Internazionale di Parigi. Il procedimento consiste in una prima fase di dissanguamento del letto vascolare iniettando nelle arterie acqua per lavarlo (fig. 016), etere solforico per sgrassare (fig. 017), soluzione di acido tannico, sciolto in acqua distillata, per “tannizzare”, e aria compressa asciutta e calda per prosciugare i tessuti (fig. 018).

Molti sono i reperti trattati con questo metodo, prevalentemente troviamo preparati dell’apparato cardiovascolare come aneurismi dell’aorta (fig. 013) e dell’apparato scheletrico come feti dicefalici (fig. 014) o feti gemellari toracopaghi (fig. 015).

Il metodo della tannizzazione, a causa della sua complessità, non ebbe quella diffusione che per i risultati raggiunti avrebbe meritato.

 

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Scuola anatomica patavina

Scuola anatomica patavina

Alcuni contributi della Scuola anatomica patavina, contenuti di Maurizio Rippa Bonati

All’origine di ogni scoperta, di ogni invenzione, innovazione e avanzamento vi è la risposta ad una domanda, la soluzione di un quesito.
Il corpo umano, comprensibilmente, è sempre stato oggetto sommo di curiosità che – senza intenzioni meccanicistiche – possono essere sintetizzate in quattro interrogativi.
Come è fatto?
Come funziona?
Perché si guasta?
Come si può aggiustare?
A tre di questi interrogativi le risposte sono state cercate – e spesso trovate – attraverso indagini anatomiche: sulla base delle rispettive specifiche peculiarità, possiamo definire le discipline di volta in volta interessate come anatomia “chirurgica”, anatomia “animata” e anatomia “clinica”. Più precisamente l’anatomia “chirurgica” ebbe il suo momento di massimo fulgore nel corso del Cinquecento, l’anatomia “animata” fu particolarmente importante nel Seicento e l’anatomia “clinica”, infine, ebbe origine proprio a Padova nella seconda metà del Settecento.
Va anche sottolineato che tutte assieme queste “specialità” concorrono alla soluzione del quarto quesito, quello riguardante la riconquista della salute. E questo sia che la guarigione venga cercata ricorrendo alla terapia chirurgica che a quella medica.
Ebbene, in tutti questi campi la Scuola medica patavina è stata centro di genesi e di irradiazione di idee innovatrici. Proprio a Padova, infatti, si vennero ripetutamente a creare quelle particolarissime condizioni che consentirono l'”esplosione” di iniziative che – con evidente enfasi, ma non senza ragione – da molti vengono definite “rivoluzioni culturali”.
Questo nostro rapido excursus deve idealmente partire da un ben preciso “momento”, dal 1543, per molti versi vero e proprio annus mirabilis. In quell’anno, infatti, Francesco Bonafede avanzò la prima proposta di realizzazione di un orto dei semplici, venne edito il De humani corporis fabbrica di Andrea Vesalio e, secondo testimonianze dell’epoca, Giovanni Battista da Monte forse per la prima volta condusse i suoi studenti di medicina al letto del malato.
Se l’opera di Vesalio è universalmente considerata la pietra angolare dell’anatomia – se non della medicina stessa – moderna, Girolamo Fabrici d’Acquapendente, l’ultimo dei suoi successori “diretti”, può essere considerato uno degli iniziatori di quella che oggi chiamiamo “fisiologia”. Suo collega a Padova fu Santorio Santorio e suo allievo il celeberrimo William Harvey, lo scopritore della circolazione del sangue.
Sarà poi solo nel Settecento che l’attenzione dei medici si poserà sulle alterazioni anatomiche conseguenti a malattie. Anche in questo caso due nomi soltanto: Bernardino Ramazzini, fondatore della medicina del lavoro, e Giovanni Battista Morgagni, iniziatore di una importantissima specialità che oggi può essere identificata con l’anatomia patologica.
Un discorso a parte merita infine la terapia. Consci della vastità e della complessità dell’argomento, in questa occasione ricorderemo due soli “primati”, uno antico ed uno recente: per quanto riguarda la terapia medico-farmacologica segnaliamo il già menzionato Orto medicinale o dei semplici, una delle prime istituzioni pubbliche finalizzate alla coltivazione, alla sperimentazione e alla diffusione della conoscenza delle piante medicinali; per la chirurgia ricordiamo invece il trapianto di cuore – primo in Italia – eseguito a Padova il 14 novembre 1985.

Ritratti dei principali anatomisti della scuola medica patavina del Cinquecento Andrea Vesalio, Realdo Colombo, Gabriele Falloppio, Girolamo Fabrici d'Acquapendente
Ritratti dei principali anatomisti della scuola medica patavina del Cinquecento Andrea Vesalio, Realdo Colombo, Gabriele Falloppio, Girolamo Fabrici d’Acquapendente

Anatomia “occasionale” e anatomia “galenica”

La curiosità dell’uomo nei confronti del proprio corpo – presente in tutte le epoche e presso tutte le culture – è sempre stata condizionata non solo dal livello delle conoscenze scientifiche nel loro insieme, ma anche dalle credenze religiose e dalle concezioni filosofiche.Per quanto riguarda le epoche più antiche non possiamo che formulare delle ipotesi e in qualche caso risalire alle conoscenze precedenti partendo dai testi medici più antichi, quali i cosiddetti “papiri medici” e il Corpus hippocraticum. In entrambe queste composite ed eterogenee raccolte di testi si trovano esclusivamente osservazioni di quella che potremmo definire “anatomia occasionale”.
Le conoscenze anatomiche attribuite ad Ippocrate (V-VI secolo a. C.) – che può essere considerato il fondatore della medicina scientifica occidentale – trovarono qualche sviluppo di tipo moderno presso la Scuola di Alessandria e soprattutto nell’opera di Erofilo e di Erasistrato (III secolo a. C.).
Il punto più elevato dell’anatomia antica si ebbe però con Galeno (129-199 d. C.) che realizzò una summa delle conoscenze di epoca classica, arricchite da osservazioni personali effettuate su animali.
La sintesi galenica ebbe un ruolo particolarmente importante nel corso di tutto il Medioevo, che attraversò rimanendo pressoché intatta, anche per lo scarsissimo entusiasmo dimostrato sia dai cristiani che dai musulmani nei confronti delle dissezioni di cadaveri umani.
Solo a partire dal XIV secolo, nell’ambito di alcune università quali Bologna, Leida, Montpellier e, non ultima, Padova, si iniziarono ad aprire i cadaveri con finalità mediche. A Mondino de’ Leuzzi (1270 ca. – 1326) – attivo a Bologna nei primi decenni del Trecento – dobbiamo il primo manuale interamente dedicato alla pratica settoria.
Fu invece Alessandro Benedetti (1450 ca. – 1512) – operante a Venezia e a Padova tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento – a divulgare l’importanza delle autopsie nella formazione medica e, soprattutto, l’utilità di realizzare strutture lignee smontabili – i teatri anatomici – che consentissero a numerosi studenti le migliori condizioni di osservazione.
Ancora per tutta la prima metà del Cinquecento la didattica anatomica si basò contemporaneamente sulla lettura dei testi classici e medievali e sulle osservazioni dirette che, all’inizio, non entrarono in conflitto con l’autorevole anatomia “galenica”. Vale la pena ricordare che la più solida roccaforte dell’anatomia classica fu l’Università di Parigi e i cui rappresentanti più autorevoli e noti furono Jaques Dubois – Silvius – (1478-1555) e Günter von Andernach (1485-1564), entrambi riconosciuti come maestri autorevoli da Andrea Vesalio (1514-1564).

Anatomia “chirurgica” cinquecentesca

Con la pubblicazione del De humani corporis fabrica (Basilea 1543) tutto ciò che Andrea Vesalio ebbe la possibilità di mettere in pratica presso quella che lui stesso definì l’università “migliore del mondo” conobbe una rapida e universale diffusione.
Semplificando al massimo, il merito principale dell’artefice della “rivoluzione” anatomica consiste nell’aver diffuso l’importanza – didattica, scientifica e anche artistica – dell’osservazione diretta di quel complesso “edificio” che è il corpo umano. Questo presupponeva un passaggio ricco di contrasti, quale il superamento di tutti i consolidati principi d’autorità e la fondazione di una nuova medicina, ovviamente basata su una profonda conoscenza dell’anatomia.

Andrea Vesalio (1514-1564)
Laureatosi a Padova il 5 dicembre del 1537, già il giorno successivo venne nominato “lettore” di chirurgia, incarico che all’epoca prevedeva anche l’insegnamento teorico e pratico dell’anatomia.
Con la pubblicazione delle Tabulae anatomicae sex (Venezia 1538), ampi fogli volanti costituiti da schematici disegni e da concise didascalie, inizia la sua personale produzione anatomica didattico-scientifica che raggiunse l’apice con il De humani corporis fabrica (Basilea 1543), perfetta sintesi di rigore scientifico e bellezza artistica.

Realdo Colombo (1515 ca.-1559)
Inizialmente allievo, poi successore di Vesalio alla cattedra d’anatomia dell’Università di Padova, il cremonese Realdo Colombo insegnò anatomia anche a Pisa (1546) e a Roma (1549). Il suo nome resta legato all’opera De re anatomica (Venezia 1559), arricchita da un frontespizio attribuito al Veronese e, soprattutto, alle sue precorritrici teorie riguardanti la circolazione polmonare.

Gabriele Falloppio (1523-1562)
Chiamato a Padova ad insegnare chirurgia, anatomia e “semplici” nel 1551, in vita pubblicò una sola opera, le Observationes anatomicae (Venezia, 1561), oggi note soprattutto per la prima descrizione delle tube uterine, conosciute da allora con il nome dello scopritore.

Girolamo Fabrici D’Acquapendente (1533-1619)
Ultimo dei grandi anatomisti padovani cinquecenteschi, resse la cattedra chirurgico-anatomica per oltre cinquant’anni. Durante il suo lungo magistero venne realizzato il Teatro anatomico e tra i molti suoi allievi ebbe William Harvey, che, anche grazie agli insegnamenti del maestro, chiarì i meccanismi della circolazione sanguigna.

Anatomia “animata” seicentesca

I rapidi sviluppi e i progressivi approfondimenti delle conoscenze anatomiche che caratterizzarono la seconda metà del XVI secolo stimolarono nuovi interrogativi.
Le osservazioni effettuate sui diversi organi – sia umani che animali – sollevarono quesiti via via sempre più complessi sulle loro rispettive funzioni.
La Scuola medica patavina – che ebbe la fortuna della lunga e proficua presenza di Galileo Galilei – ebbe un ruolo preminente anche nelle indagini di anatomia “animata”, come veniva definita la nascente fisiologia.

William Harvey (1578-1657)
Dopo aver conseguito il dottorato a Padova nel 1602, fece ritorno nella natia Inghilterra. Qui, nel 1616, nel corso di anatomia affidatogli dal Royal College of Physicians di Londra, anticipò i risultati delle sue ricerche sulla circolazione del sangue, successivamente pubblicati nella Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus (Francoforte 1628), titolo da cui risulta con immediata evidenza il debito da lui contratto con la Scuola anatomica patavina.

Santorio Santorio (1561-1636)
Prima che il microscopio in qualche modo monopolizzasse le ricerche bio-mediche, vanno segnalate le “esperienze” effettuate da Santorio Santorio, che descrisse diversi tipi di termometri ad aria e un apparecchio per la misurazione della frequenza del polso.
Particolarmente interessanti i suoi studi dedicati a quello che oggi definiamo metabolismo – perspiratio insensibilis – compiuti mediante un’apposita apparecchiatura – stadera medica – da lui stesso ideata e realizzata.

Johann Georg Wirsung (1598-1643)
Originario di Monaco di Baviera – come risulta dall’iscrizione autografa alla Natio Germanica Artistarum – si laureò in medicina a Padova e qui, per alcuni anni, ricoprì l’incarico di prosettore dell’anatomista Johan Wesling.
Sempre a Padova scoprì il dotto pancreatico che ancora oggi porta il suo nome e lo descrisse e illustrò nell’opera intitolata Figura ductus cuiusdam cum multiplicis suis ramulis (Padova 1642), edita poco prima della morte.

 

Anatomia “clinica” settecentesca

L’attenzione degli scienziati, lentamente ma costantemente, si sposta dal corpo umano nel suo complesso ai singoli organi, sia per quanto riguarda la citata fisiologia che per la nascente patologia.
Un indubbio valore documentario ebbero le “collezioni” di reperti anomali costituite nel corso del XVII secolo, quale ad esempio il Sepulcretum anatomicum (Ginevra 1709) di Théophile Bonet (1620-1689). La vera svolta si ebbe però solo quando le eventuali variazioni morfologiche di un determinato organo vennero collegate a manifestazioni patologiche osservate in vivo.
Il “Secolo dei lumi” per l’Università di Padova si apre con la chiamata contemporanea del giovane Antonio Vallisneri (1661-1730) e del più anziano e noto Bernardino Ramazzini (1633-1714), che aveva appena pubblicato la De morbis artificum diatriba (Modena 1700), opera con la quale prende l’avvio la medicina del lavoro.
Sarà però Giambattista Morgagni (1682-1771) il vero protagonista del Settecento medico padovano. “Sua maestà anatomica”, anche grazie alla straordinaria longevità professionale, ebbe la possibilità di raccogliere una sterminata quantità di casi clinici e di registrarne l’evoluzione, dall’insorgenza dei primi sintomi fino all’esame autoptico.
La meticolosità del medico e l’acutezza del ricercatore sono apprezzabili nel De sedibus at causis morborum per anatomen indagatis (Venezia 1761); del felicissimo titolo desideriamo qui sottolineare solo il riferimento all’anatomia, grazie alla quale era possibile collegare tra loro l’origine e la localizzazione delle manifestazioni patologiche.

 

“Materia medica” e chirurgica

I legami tra le “anatomie” e la “materia medica”, cioè l’antica farmacoterapia, sono per medici e malati certamente importanti anche se non esplicitamente manifesti.
Molto più evidente è invece l’importanza della conoscenza del corpo umano quando si deve ricorrere all’uso del bisturi: le opere dei due più famosi chirurghi del XVI secolo, il francese Ambroise Paré e il veneziano Giovanni Andrea dalla Croce costituiscono, infatti, la conferma più convincente.

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La veterinaria

La veterinaria

L’insegnamento della medicina veterinaria nell’Università di Padova – Contenuti a cura di Bruno Cozzi

L’Università di Padova, una delle antiche al mondo, è stata fondata nel 1222. La facoltà di medicina veterinaria dell’Università di Padova è stata aperta nel 1992, con struttura e programmi simili a quelle delle altre istituzioni medico-veterinarie europee. Tuttavia una Facoltà di medicina veterinaria era già stata attiva in passato all’interno dell’Università di Padova. Durante il XVIII secolo la Repubblica di Venezia importava la maggior parte del bestiame necessario dall’Est Europa, e in particolare dalla Dalmazia, Slovenia e Ungheria, con conseguente bilancio negativo per le finanze dello stato. All’interno della Repubblica lo stato dell’allevamento del bestiame e della produzione della carne erano ben lontani dall’ideale, per via delle ricorrenti pesanti perdite dovute a epizoozie. Questa situazione diede luogo alla nascita di diverse Accademie locali dedicate alla salute e medicina degli animali, e infine alla sfociò nella cattedra di Agricoltura presso l’Università di Padova (1765), tenuta dal botanico Pietro Arduino. Tra i suoi doveri vie era provvedere al miglioramento della produzione bovina e ovina.
La Repubblica di Venezia fondò ufficialmente un Collegium Zoojatricum il 9 settembre 1773.
Il Collegium fu uno dei primi in Europa, di poco successivo alla fondazione degli Istituti veterinari in Francia. La direzione del collegio fu affidata a Giuseppe Orus, diplomatosi ad Alfort.
Il Collegium era sito in Padova, vicino al vecchio Convento delle Maddalene.
A Orus fu affidata la responsabilità dell’organizzazione e avvio della Scuola di Medicina Veterinaria, nonché della fondazione di un Museo di Anatomia Comparata. Orus agiva anche in qualità di Ispettore della Repubblica per la sanità animale e l’igiene della carne. Tra i suoi doveri vi era quello di raggiungere i luoghi in cui si erano verificate delle epizoozie. La scuola di medicina veterinaria fu inaugurata ufficialmente il 1° ottobre 1774, con 12 studenti iscritti provenienti da diversi stati italiani. Il primo degli studenti terminò il percorso di studi nel 1779. Negli anni successivi (1779-1787) furono proposte e attuate alcune rifome degli studi veterinari, tra i quali di rilievo lo spostamento dell’insegnamento nell’alveo della Scuola di Medicina e Chirurgia. La cattedra di Anatomia Comparata di Giuseppe Orus entrò ufficialmente nel novero di quelle dell’Università di Padova.
Nel 1815 Girolamo Molin venne nominato professore di medicina veterinaria presso la scuola di medicina, e l’insegnamento veterinario ridotto a un corso biennale. Nel 1827 la scuola e le strutture annesse furono spostate presso il Convento di S. Francesco, successivamente denominato Istituto Veterinario. Nel 1839 Vincenzo Tomada divenne professore di medicina veterinaria, cui presto seguì nel 1840 Giuseppe Brugnolo. Quest’ultimo tenne la cattedra di Medicina Veterinaria e delle Epizoozie presso la facoltà medica fino al 1857, anno in cui gli successe Bernardino Panizza, che fu quindi l’ultimo professore di medicina veterinaria presso l’Università di Padova fino al termine ufficiale degll’insegnamento veterinario nel 1873.
Vi furono diversi motivi alla base della decisione di por fine all’insegnamento veterinario in Padova. Fondamentale fu però il fatto che mentre l’Italia divenne un Regno indipendente nel 1860, il Veneto rimase per anni ancora sotto il dominio austriaco. Così quando con l’annessione del Veneto al Regno d’Italia nel 1872 l’Università di Padova entrò a far parte del consesso delle altre Università italiane, il numero delle facoltà di medicina veterinaria era limitato da apposite leggi. Inoltre in quel momento l’ordinamento delle altre facoltà italiane di medicina veterinaria differiva molto da quello esistente in Padova, dove l’insegnamento si era ridotto a una cattedra all’interno della facoltà medica.
L’apertura di una nuova facoltà di medicina veterinaria presso l’Università di Padova venne più volte considerata, data l’importanza dell’allevamento e produzione animale (compreso l’allevamento e la produzione ittica) nel nord-est italiano. I veterinari che operavano nel Veneto ottenevano il loro titolo altrove, principalmente presso le Università di Milano o Bologna. Nel 1992 la facoltà venne inaugurata ufficialmente (o dovremmo dire nuovamente?), con un’organizzazione simile a quelle delle altre facoltà di medicina veterinaria italiane e europee.
La medicina veterinaria divenne una scienza nella seconda metà del XVIII secolo con la fondazione di diverse scuole di medicina degli animali in tutta Euroopa. La maggior parte di queste scuole rispondeva ai bisogni degli eserciti nazionali, per i quali era essenziale l’impiego di cavalli e muli ai fini militari. L’insegnamento veterinario in Padova nacque con altri scopi, tra i quali lo studio delle malattie del bestiame e delle epizoozie, con il fine ultimo di migliorare i commerci e l’economia del Veneto. Sfortunatamente il nord-est italiano su teatro di parecchi perduranti conflitti, che compromisero la sopravvivenza, il fiorire e l’espandersi delle istituzioni veterinarie in Padova fino alla seconda metà del XIX secolo. La “nuova” facoltà di medicina veterinaria continua questa antica tradizione di studio delle scienze animali dedicate alla pace e al progresso.
Riferimenti bibliografici:
Alba Veggetti, Bruno Cozzi.
La Scuola di Medicina Veterinaria dell’Università di Padova
Contributi alla Storia dell’Università di Padova,29
Ed. LINT Trieste 1996. pp. 1-291

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I nuovi traguardi

I nuovi traguardi

La medicina a Padova: le radici del futuro – Contenuti a cura di Gaetano Thiene

Vi è unanime consenso fra gli storici che la Medicina Moderna poggi le sue fondamenta sugli studi dell’anatomia, del funzionamento e della storia naturale del corpo umano condotti a Padova nei secoli XVI-XVII.
L’evoluzione del pensiero è ben delineata dagli stessi titoli delle grandi opere che hanno segnato il cammino dello sviluppo di queste conoscenze. Alessandro Benedetti (Anatomicae, sive Historia Corporis Humani, 1493), Vesalio (De Humani Corporis Fabrica, 1543), Realdo Colombo (De Re Anatomica, 1559) e Gabriele Falloppio (Observationes Anatomicae, 1561) “smontano” il corpo umano attraverso la dissezione anatomica per scoprire i segreti della sua impalcatura e rompere le tradizioni che si richiamano a Galeno. Nel 1594 Fabrici d’Acquapendente edifica il Teatro Anatomico, primo laboratorio nella storia della Medicina, e abbozza le prime intuizioni anatomo-funzionali nel De Venarum Ostiolis (1603) e nel De Formatu Foetu (1613). Contemporaneamente Galileo, professore di Matematica all’Università di Padova, introduce il metodo sperimentale secondo il quale “scienza è misura”.
Grazie a questo metodo e alle lezioni di Anatomia del Maestro Fabrici, William Harvey, alunno del Ginnasio Patavino, può concepire la corretta teoria della circolazione (Exercitatio Anatomica De Motu Cordis et Sanguinis in Animalibus, 1628), così fondando la Fisiologia e aprendo la via dell’interpretazione del funzionamento dell’intero corpo umano.
Un secolo dopo, Giovanni Battista Morgagni, professore prima di Medicina e poi di Anatomia, sposta l’attenzione alle malattie e alle alterazioni morbose degli organi, per l’interpretazione dei sintomi e delle cause di morte, attraverso il metodo della correlazione anatomo-clinica (De Sedibus et Causis Morborum per Anatomen Indagatis, 1761). L’enciclopedia americana ricorda Morgagni come colui che “established pathological anatomy as a science and changed the course of medical diagnosis” (fondò l’Anatomia Patologica come scienza cambiando il corso della diagnosi in Medicina).
Questo primato storico dell’Università di Padova nell’Anatomia, Fisiologia e nella Patologia è continuato nei secoli e mantiene tutta la sua attualità. Fedele alla tradizione, l’autopsia gioca un ruolo centrale per il controllo di qualità anche nell’epoca della medicina molecolare.
La Scuola Medica Patavina è attualmente leader in Italia con una visibilità scientifica internazionale di altissimo livello nel campo dell’oncologia sperimentale, immunologia clinica, endocrinologia e malattie del metabolismo, genetica clinica e molecolare, patologia cardiovascolare, gastroenterologia, chirurgia, virologia, biologia e patologia molecolare, solo per fare alcuni esempi.
Degne di nota le conquiste nel campo della genetica molecolare, con scoperta di geni malattia e nelle conoscenze delle malattie a rischio di morte improvvisa aritmica, con grandi progressi nella prevenzione. Si aggiunga a questo le potenzialità della medicina riparativa mediante le cellule staminali.
I successi della Scuola Medica Patavina sono culminati il 14 Novembre 1985, con la magistrale effettuazione del primo trapianto cardiaco in Italia da parte del cardiochirurgo Vincenzo Gallucci, che ha aperto la via anche nel nostro paese alla cura delle malattie terminali con sostituzione di organo.
Attualmente Padova è l’unica sede italiana dove vengono effettuati di routine tutti i tipi di trapianto d’organo (cuore, fegato, rene, polmone) mediante il coordinamento di un gruppo interdisciplinare comprendente chirurghi, clinici, patologi, immunologi, neurologi, anestesisti, medici legali, microbiologi.
L’edificazione di un grosso Centro di Ricerca Biomedica nonché di una “Cell Factory” di imminente inaugurazione, preceduti dall’Istituto Veneto di Medicina Molecolare, ove Medicina Clinica e Scienze di Base opereranno in maniera sinergica, è foriero di interessanti, ancorché imprevedibili sviluppi per le Scienze Mediche di Padova.

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L’ospedale di san Francesco

L' ospedale di san Francesco

Contenuti a cura di Francesca Fantini D’Onofrio

Il Museo della Storia della Medicina e della Salute avrà sede nel complesso monumentale quattrocentesco dell’antico Ospedale di San Francesco dell’Osservanza.

[1623.Mappa di Padova realizzazione di Angelo Portenari (Archivio di Stato di Padova)]
[1623.Mappa di Padova realizzazione di Angelo Portenari (Archivio di Stato di Padova)]

Nella seconda metà dell’anno 1414 si attuano le procedure contrattuali per la costruzione dello stabile destinato a divenire l’ospedale di San Francesco.
L’edificio fu progettato su un sito, già in parte edificato, posto al di fuori delle mura trecentesche di Padova, tra le contrade di Santa Margherita e del Vignale.

Quest’opera fu voluta e finanziata da Baldo dei Bonafari e da sua moglie Sibilia dei Cetto, proprietaria del terreno suddetto.

[1575. I coniugi Baldo e Sibilia Bonafari ritratti dal Varotari
nell’affresco parietale della sala della Scuola della Carità, di Padova]
[1575. I coniugi Baldo e Sibilia Bonafari ritratti dal Varotari nell’affresco parietale della sala della Scuola della Carità, di Padova]

 

Baldo era originario della cittadina toscana di Piombino e si era trasferito a Padova per condurre gli studi universitari in diritto canonico e civile. Risiederà stabilmente nella città patavina e diventerà referendario e consigliere di Francesco Novello da Carrara, Signore di Padova.

Nel 1390 sposerà Sibilia dei signori Cetto di Padova.

Nel 1405, con la dedizione della città alla Serenissima Repubblica di Venezia, Baldo fu costretto al soggiorno forzoso a Venezia, dove resterà fino alla fine dell’estate dell’anno 1413. Al suo ritorno si dedicò, insieme alla moglie Sibilia, alla realizzazione del suo sogno caritatevole di costruire un ospedale intitolato a San Francesco d’Assisi dove si curassero, nello spirito e nel corpo, gli ammalati. Questo desiderio era maturato in lui dopo aver abbracciato gli insegnamenti francescani.

[Miniatura di San Francesco che riceve le stimmate,
primo libro contabile dell’Ospedale di San Francesco Archivio di Stato di Padova
[Miniatura di San Francesco che riceve le stimmate, primo libro contabile dell’Ospedale di San Francesco Archivio di Stato di Padova

 

Morirà nella primavera dell’anno 1419, nove anni dopo aver dettato le sue ultime volontà che rendevano l’amata moglie Sibilia sua erede universale destinata a continuare la grandiosa opera sanitaria da lui iniziata e concretizzata.

Madonna Sibilia era figlia del ricco mercante e possidente padovano Gualperto. Sposerà in prime nozze il giurista padovano Bonacorso dei Naseri da Montagnana, consigliere di Francesco il Vecchio da Carrara, signore di Padova.

A seguito delle vicende politiche del 1388, Bonacorso fu accusato di alto tradimento ed impiccato in Piazza dei Signori nel giugno del 1390. Sibilia, poco meno di un anno dopo, sposerà in seconde nozze Baldo dei Bonafari da Piombino.

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La Fondazione MUSME

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Herbert Butterfield

perché a Padova la regina della scienza, piuttosto che la teologia come invece a Parigi, era la medicina

Questa frase di Herbert Butterfield, ben riassume il ruolo della Scuola Medica Padovana nel contesto delle università europee nel 1400 e 1500, dove i più grandi maestri hanno insegnato e prodotto i loro migliori lavori.

Su queste basi, la Provincia di Padova, proprietaria della sede dell’ex Ospedale San Francesco Grande, ha promosso il complesso restauro dell’edificio, con il contributo dello Stato, della Regione del Veneto, del Comune di Padova e della Società Autostrade Padova-Brescia, su progetto dell’Università degli Studi di Padova, per realizzare un Museo in grado di raccogliere ed esaltare la memoria storica del fulgente passato che ha illuminato con il proprio sapere medico tutta l’Europa. Nel 2008 la Provincia di Padova, l’Università degli Studi di Padova, la Regione del Veneto, il Comune di Padova, l’Azienda Ospedaliera e l’Azienda Unità Locale Socio Sanitaria n. 16 hanno costituito la “Fondazione Museo di Storia della Medicina e della Salute in Padova” per raccogliere, custodire e valorizzare le testimonianze di una cultura medica e scientifica padovana che ieri, come oggi, rappresenta un’eccellenza a livello internazionale. Con il prezioso apporto del Comitato scientifico e con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo per l’allestimento, il Museo oggi rappresenta un’imperdibile occasione di visitare un luogo che coniuga una storia antica con la moderna tecnologia.

Per accedere al sito web del Museo vai su http://www.musme.it

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